Quale sviluppo e quale sostenibilità nella Mussomeli del secondo decennio del XXI secolo?

Convegno Società e sostenibilità, I Festival Solidale, Mussomeli, 31 luglio 2015

Relazione: Quale sviluppo e quale sostenibilità nella Mussomeli del secondo decennio del XXI secolo?

*si tratta di un documento/bozza (che ha bisogno di essere ancora approfondito e corretto) scritto e presentato nel Convegno sullo sviluppo del I Festival Solidale. È vietato l’uso e la riproduzione parziale e totale. Le idee e le riflessioni presentate in questo documento sono responsabilità dell’autore e non necessariamente sono condivise dal movimento politico ‘Pensare Solidale’.

Autore: Dr. Giuseppe Lo Brutto (Profesor-investigador del Posgrado en Sociología del Instituto de Ciencias Sociales y Humanidades “Alfonso Vélez Pliego” de la Benemérita Universidad Autónoma de Puebla, México)

Buon pomeriggio a tutte e a tutti gli invitati qui presenti. Ringrazio l’ingegnere Rino Genco per l’invito, gli amici di Pensare Solidale che continuano le loro iniziative con lo scopo di incidere sul tessuto sociale di Mussomeli in un momento difficile non solo per la nostra comunità, ma per il Vallone, la Sicilia, l’Italia, l’Europa ed il mondo intero. Allo stesso tempo, saluto con piacere al senatore Mineo che questa sera ci accompagna e a tutti i sindaci qui presenti.

Penso e credo che iniziative come queste devono svolgersi più spesso, perchè permettono riflettere sui problemi comuni che meritano un’attenta analisi, riflessione e sopratutto dibattito.

Non c’è nessun dubbio che oggi viviamo la crisi più profonda del sistema capitalista e la sua promessa di migliorare le condizioni sociali ed economiche, una crisi multidimensionale, una crisi la cui essenza è economica, ma i cui riflessi ed effetti si manifestano nell’ambito sociale, politico ed ambientale. In questo senso, vediamo come pultroppo le istituzioni non riescono a dare risposte ai cittadini, in un mondo in cui ormai tutto è diventato merce ed in cui tutto ha un valore di scambio. Ormai si è quasi perso il senso della solidarietà che è stato alla base della costruzione della società moderna. Una società oggi malata, in cui dopo l’ubriacatura neoliberista (che partì alla fine degli anni 70 del secolo scorso e che stravolse le dinamiche sociali, economiche e politiche del mondo di allora), oggi, dopo quasi quarantanni di politiche in cui in tutto il mondo sia nel centro, nella semiperiferia, e nella periferia, l’unico risultato è stato l’aumento dei poveri e la concentrazione ogni volta più sorprendente di enormi ricchezze nelle mani di pochi. Viviamo quindi uno smarrimento tale che non riusciamo più a capire verso dove si dirige la società,ma sopratutto non ci rendiamo conto della grave crisi ambientale che mette in grave pericolo non solo l’intera umanità ma tutte le speci che vivono nel nostro pianeta.

In questa relazione voglio brevemente cercare di mettere l’enfasi della mia analisi su due concetti base per capire la diagnosi ma sopratutto per cercare di immaginare le soluzioni atte a far superare questa fase drammatica che la nostra società sta vivendo.Questi due concetti sono lo Sviluppo e la Sostenibilità (sviluppo sostenibile) concetti che se relazionati tra loro possono essere allo stesso tempo soluzioni e problemi.

Facendo una breve analisi storica che in questo contesto ci permette di analizzare in che cosa sia consistito lo sviluppo a livello globale, ma sopratutto a Mussomeli e nel Meridione, e la sostenibilità, concetto anchesso difficile da capire ed allo stesso tempo arma a doppio filo, possiamo comprendere l’attuale fase anche con un filo di speranza. Ma è obbligo fin da subito segnalare, che bisognerebbe pur lasciare da parte tutti quei concetti, compresi lo sviluppo e la sostenibilità, che ci sono serviti fino ad oggi a decifrare una società complessa e allo stesso tempo cambiante.

In quanto allo sviluppo è un concetto inventato nel secondo dopo guerra, quando l’allora presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, nel Punto IV del suo discorso all’Unione lo utilizzava per la prima volta, inteso come strategia in un mondo che ormai si accingeva a vivere la guerra fredda facendo diventare dall’oggi al domani a più di tre miliardi di persone semplicemente ‘sottosviluppati’. Questo riferimento storico che in un altro contesto meriterebbe un’analisi più profonda della situazione, sopratutto per le conseguenze politiche, economiche e sociali che ne sono derivate, ci serve a capire come pure in una regione semiperiferica come la nostra, cioè una regione che è stata messa da parte dalla strategia di sviluppo occidentale, o meglio è servita a giustificare un ‘ritardo economico’ che in questa nostra terra si rifa fin dall’unificazione e che nei primi anni venti del secolo scorso Antonio Gramsci la definì come ‘La questione meridionale’, lo sviluppo è stato più un mito che una certezza.

In effetti come lo definisce lo storico Gilbert Rist, “la storia di un credenza occidentale” lo sviluppo servì all’occidente, a creare la società consumista che oggi conosciamo, ma allo stesso tempo condannò a tutti quei paesi che non appartenendo a nessun ‘blocco’ furono preda facile per le due superpotenze a causa delle immense risorse naturali che disponevano e che tuttora dispongono. Ciò non toglie il fatto che noi siamo stati diretti beneficiari, ma questa analisi si limiterebbe ad un’analisi localista inducendoci nell’errore di considerarci il centro del mondo, cosa cui la ‘Crisi greca’ ci ha fatto capire che il mondo è così grande e così diverso che comprenderne la geopolítica implica un’analisi della ‘totalità’ che deve assolutamente considerare gli scenari mondiali, l’egemonia, che continuamente vanno cambiando e la cui comprensione ci potrebbe permettere una diagnosi più locale ma sopratutto iniziare ad immagginare nuovi scenari e nuove soluzioni.

Certo, oggi in questa relazione è molto complicato cercare in 20 minuti relazionare due concetti, come lo sviluppo e la sostenibilità, comprenderne l’analisi storico e sopratutto cercare di inserire la realtà del Vallone e di Mussomeli in un contesto di ‘totalità’ che come dicevo è l’unica maniera di capire ciò che succede nella nostrà realtà.

Riferendoci poi al nostro territorio è chiaro come lo sviluppo non sia solo un credenza ma anche un mito. In effetti, se da un lato è vero che ci siamo beneficiati da una politica di Welfare che ebbe la sua forza nel grande sviluppo economico che l’Italia visse a partire dalla fine degli anni 50 del XX secolo, è pure vero che la considetta ‘questione meridionale’ si aggravò tanto che non si riuscì mai a colmare il divario tra Nord e Sud Italia. In una scala più grande, lo stesso succede tra i paesi centrali ed i paesi sottosviluppati dove i cosidetti aiuti allo sviluppo non furono altro che la maniera di giustificare un sistema di per se ingiusto. Allo stesso modo la ‘Cassa del Mezzogiorno’ o qualunque altro meccanismo di aiuti che da Roma si destinarono al Sud non fecero altro che giustificare un sistema ingiusto e allo stesso tempo corrotto. È opportuno segnalare che lo stesso vale per la Spagna dove per esempio il divario tra la ricca regione della Cantabria e la povera regione dell’Andalucia può essere perfettamente paragonato al divario economico e sociale tra il Nord ed il Sud Italia. E ad un livello sopranazionale lo stesso potrebbe dirsi del divario tra l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia i cosidetti ‘PIGS’ e la Francia, la Germanía, l’Inghilterra e l’Olanda.

Per quanto riguarda poi la nostra martoriata Sicilia, il Vallone e Mussomeli, lo sviluppo arrivò tardi ed il poco che si generò servì alla mafia per speculare con gli Affari Edilizi, i Piani Regolatori, la Sanità e così via. Una terra in cui da fine del XIX secolo il fenomemo migratorio è un fenomeno costante ed in cui nel miglior periodo che si possa aver vissuto (fine anni 70-metà anni 90) si manifestò come sempre, ciò a voler dimostrare che del famoso sviluppo che ci fece essere più urbani e ci diede condizioni di vita migliori, dalle nostre parti, le cause vanno ricercate non solo nel ‘trend’ nazionale di sviluppo economico (bisogna non dimenticarsi però dei tanti miliardi di lire che arrivarono con il Piano Marshall) ma dalle rimesse che dall’Estero e dal Nord Italia venivano mandate. Non c’è dubbio come Mussomeli ed il Vallone in generale si beneficiarono dallo svuotamento giovanile che permise a chi restò di occupare facilmente i posti pubblici a disposizione (anche sopratutto attaverso il sistema dei partiti della prima repubblica) e nell’ambito privato le imprese edili riuscirono ad occupare a molti lavoratori offrendo loro buone condizioni di lavoro ( c’è da dire pure come gli aiuti statali per fini assitenzialisti permisero alle stesse imprese di far lavorare in nero ai propi lavoratori in alcuni mesi dell’anno per beneficiarsi sia i lavoratori ma sopratutto gli imprenditori). Tutto questo ci permette di dire che lo sviluppo da noi arrivò amputato fin dalle origini e fu preda sia dalle logiche affaristiche della Mafia, sia dal sistema di corruzione che da sempre ci distingue. Se poi vogliamo portare l’analisi un altra volta ad un livello sopranazionale, lo stesso si può dire della corruzione e del connubio Stato-politica-mafia con la gestione dei Fondi Strutturali europei.

Per quanto riguarda il concetto si sostenibilità sorge alla fine degli anni ottanta, e il suo sorgimento ci indica come lo stesso concetto di sviluppo entra in crisi, in quanto non si può continuare ad intenderlo solo in termini economici ma deve necessariamente considerare l’ambito sociale ed ambientale. A partire da ciò e sopratutto dall’evidenza che l’industrializzazione fino ad allora avuta ha causato non pochi problemi ambientali, molte ONG iniziano ad utilizzare il termine di sviluppo sostenibile inteso come “…un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende “ (1991, World Conservation Union, UN Environment Programme and World Wide Fund for Nature).

Nello stesso anno (1991) l’economista Herman Daly definisce lo sviluppo sostenibile come “… svilupparsi mantenendosi entro la capacità di carico degli ecosistemi” e quindi secondo alcune condizioni generali, concernenti l’uso delle risorse naturali da parte dell’uomo. In tale definizione, viene introdotto anche un concetto di “equilibrio” auspicabile tra uomo ed ecosistema, alla base di un’idea di economia alla quale il consumo di una determinata risorsa non deve superare la sua produzione nello stesso periodo. (Daly, 1991)

Nel 1994, l’ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives) ha fornito un’ulteriore definizione di sviluppo sostenibile: “Sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l’operabilità dei sistemi naturali, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi” (ICLEI, 1994).

Nel 2001, l’UNESCO ha ampliato il concetto di sviluppo sostenibile indicando che “la diversità culturale è necessaria per l’umanità quanto la biodiversità per la natura (…) la diversità culturale è una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre una esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale”. (Art 1 e 3, Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, UNESCO, 2001).

Ma è essenzialmente l’informe Burdtland (1987) ciò che ha riconsiderato la visione economica dello sviluppo, un informe che ha contrastato la visione di sviluppo economico con la visione di sostenibilità ambientale, realizzato dalla ex primo ministro norvegese Gro Harlem Brundtland con l’obbietivo di analizzare, criticare, e riformulare le politiche di sviluppo a livello globale, riconoscendo in una istituzione come l’ONU il gran costo ambientale che l’umanità sta pagando. Chiamatosi inizialmente Il nostro futuro comune (Our Common Future, in inglese) si utilizzò per la prima volta il termine di sviluppo sostenibile “Lo sviluppo sostenibile impone di soddisfare i bisogni fondamentali di tutti e di estendere a tutti la possibilità di attuare le proprie aspirazioni ad una vita migliore (…) Il soddisfacimento di bisogni essenziali esige non solo una nuova era di crescita economica per nazioni in cui la maggioranza degli abitanti siano poveri ma anche la garanzia che tali poveri abbiano la loro giusta parte delle risorse necessarie a sostenere tale crescita. Una siffatta equità dovrebbe essere coadiuvata sia da sistemi politici che assicurino l’effettiva partecipazione dei cittadini nel processo decisionale, sia da una maggior democrazia a livello delle scelte internazionali” (Informe Burdtland, 1987).
Per la prima volta si pensa alle generazioni future in quanto lo sviluppo attuale non deve comprometterle e allo stesso tempo considera le dimensioni, economiche, ambientali e sociali fondamentali per le future politiche di sviluppo globali.

Ma come parlare ed effettuare politiche di sviluppo sostenibile in un territorio come il nostro dove lo sviluppo arrivò mutilato, dove dal punto di vista ambientale la mafia con la complicità della politica e da questo connubio mafia-politica fece di questa strategia di modernizzazione degli affari enormi condannando alla miseria e alle malattie intere generazioni?

Per poter affrontare un tale dibattito è necessario citare e analizzare l’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si”.

La riflessione deve iniziare sulla possibilità di abbandonare il modello di crescita economica come modello di “sviluppo e benessere”. A tal proposito Papa Francesco segnala “… Il sistema industriale,alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare i residui. Ancora non si è adottato un modello circolare di produzione che assicuri l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza, riutilizzare e reciclare. Trattare tale questione sarebbe un modo di contrarrestare la cultura dello spreco, che affetta l’intero pianeta Terra, ma gli avanzamenti in questo senso sono ancora molto scarsi.” (2015:14)

Continua il nostro pontefice gesuita “… Conosciamo bene l’impossiblità di sostenere il livello attuale del consumo dei paesi più sviluppati e dei settori più ricchi della società, dove l’abitudine di spendere e buttare via le cose raggiunge livelli inauditi. Si sono già superati certi limiti massimi di sfruttamento del nostro pianeta senza aver risolto il problema della povertá.” (2015:25)

Il papa mette l’accento su un elemento che considero importante nella relazione tra l’uomo e la natura e sopratutto in relazione al livello di consumo che la società in generale ha e compromette seriamente l’ambiente e tutte le speci che viviamo sulla Terra, sottolineando allo stesso tempo il pericolo che le generazioni future corrono per le condizioni in cui lasceremo il nostro pianeta dovute a questo modello illogico di sviluppo. Ciò che si evince da queste riflessioni del massimo dirigente della chiesa cattolica, si unisce alla linea di pensiero conosciuta come “La teoria della decrescita”.

In effetti Serg Latouche segnalava gia dal 2010 che era urgente ridurre i livelli di consumo ed abbandonare l’aspirazione della crescita ancorata al benessere per raggiungere un modo di produrre e riprodurre la vita sostenibile e rispettuosa della Natura.

“L’excrescienza è la crescita che supera “il limite ecologico sostenibile” e che, nel caso dell’Europa, corrisponderebbe al consumo eccessivo, cioè al livello di produzione che in generale supera il livello capace di soddisfarre i bisogni “ragionevoli”di tutti. Più in la di un determinato punto, il costo marginale della crescita supera di molto i propi benefici. Paradossalmente, tutto succede come se la prospettiva di un suicidio collettivo ci sembrerebbe meno insopportabile che il ripensare i nostri modi di fare ed il cambio dei nostri modi di vita (2010:13), (…) un solo scenario è credibile e sostenibile, quello della sobrietà, che costituisce la base della via della decrescita.” (2010:15)

Ambe citazioni credo rafforzino l’idea che la società della decrescita si può dare solo a partire di un’altra logica. Il progetto della decrescita include la coscientizzazione della crisi ecologica che la società capitalista sta vivendo e allo stesso tempo la critica allo sviluppo.

Come segnala il sociologo Enrique Leff al considerare la decrescita come una presa di coscienza su un processo istaurato nella cultura occidentale che minaccia ogni essere vivo del pianeta e la qualità della vita degli esseri umani si deve cercare una transizione verso un Economia Sostenibile, cioè un altra economia fondata in altri principi produttivi. La decrescita implicherebbe la decostruzione dell’economia alla stessa maniera in cui si costruisce una nuova razionalità produttiva(2008:84).

Oggi quindi parlare di sviluppo sostenibile deve implicare mettere da parte ogni logica di mercificazione, dare alla natura un valor d’uso e non di scambio, perchè in caso contrario lo stesso sviluppo sostenibile potrebbe più nuocere che essere l’inizio di una nuova forma di pensare e trovare nuove soluzioni. Non c’è dubbio che non si può continuare con lo stesso modello di società dove 147 multinazionali e 600 persone controllano il mondo (Università di Zurigo, 2012), dove a partire dal 2016 l’un per cento della popolazione mondiale sarà propietario del 51 per cento della ricchezza mondiale.

Per quanto riguarda poi Mussomeli ed il Vallone, ridisegnare politiche di sviluppo sostenibile deve iniziare dal ripensare il territorio, le propie risorse e potenzialità, ma sopratutto nel vivere una nuova forma di Solidarietà. È chiaro che non si possono disegnare nuove strategie di sviluppo sostenibile senza una nuova forma di pensare la società che parti dal locale e poco a poco inglobi un ambito regionale, nazionale, europeo e mondiale. Questo modello che ci ostiniamo a seguire ci porterà inesorabilmente alla distruzione. La crisi che oggi viviamo è la crisi di un modello insostenibile. Di un modello di consumo senza senso, che mette l’individualità, l’interesse personale al centro dell’azione politica, economica e sociale. Dobbiamo ricordarci che la società è formata da persone non da numeri. Quindi senza una nuova forma di ripensare la nostra società,non possiamo creare nessuna condizione di società sostenibile.

Quindi, che fare?Come intervenire in un territorio dove ogni giorno che passa le condizioni socioeconomiche peggiorano?

Credo che da una parte la politica debba tornare ad essere il centro dell’interesse collettivo. Voglio dire, che c é bisogno di nuovi soggetti politici che riescano a rispondere alle difficoltá e domande dei cittadini che si ritrovano in un mondo diverso e più complicato ma con soggetti politici obsoleti che non sanno come operare dato che le direttive economiche e sociali vengono imposte da istituzioni internazionali il cui unico interesse é proteggere il grande capitale finanziario.

Da un altro lato, penso che ci sia il bisogno di pensare alternative fino ad oggi impensabili. La stessa enciclica di Papa Francesco ci invita a pensare in maniera diversa e a considerare seriamente che questa Societá e questo modello di sviluppo é insostenibile. Quindi bisognerebbe dalla scuola iniziare ad educare diversamente i bambini, nel senso che la solidarietá e non la competizione sia il perno di una nuova forma di pensare questa nostra Societá.

Ma in un senso stretto, fattibile, come puó intervenire un amministrazione locale in una situazione di emergenza locale, regionale, nazionale,europea e mondiale?

Il problema chiaramente non può risolverlo, un sindaco o un amministrazione. Il loro lavoro in una situazione di emergenza come la nostra è quello di ridurre i danni di una política inefficace che da troppo tempo non serve gli interessi della società.

Per questo ho insistito sul fatto che bisognerebbe incidere sulla politica, cioè, nella creazione di nuovi soggetti politici che facciano di una nuova forma di fare politica(un arte al servizio della gente e della collettività) l ‘inizio di un progetto Solidale che possa in primis redisegnare la società (questo è tutto un altro argomento che merita una speciale analisi e dibattito) e in secondo luogo far del territorio e quindi del rapporto uomo-natura-società un potenziale. Ma questo potenziale non deve mirare solamente al guadagno ma alla costruzione di una società e di un modello di sviluppo che ancora non riusciamo ad immagginare.

Questa relazione, quindi vuol essere provocatrice sia nel pensare ed immaginare la società ed il suo modello di sviluppo, sia nel cominciare a far capire che questa nostra società ha bisogno di essere capita con altri concetti e categorie ed attuare in conseguenza con altri strumenti e strategie. Se non iniziamo da qui è impossibile disegnare politiche di sviluppo. Un società malata come la nostra ha bisogno di nuove cure. È come se volessimo curare un influenza senza antibiotico.

Finalmente, è chiaro che iniziative come quelle che ha proposto in campagna elettorale e che continua a proporre Pensare Solidale, dal bilancio partecipato, al microcredito, dall’esenzione delle tasse alle nuove imprese che iniziano ad operare nel territorio alla partecipazione della gente nella gestione della cosa pubblica, dall’impulso della solidarietà in ogni ambito, dal sociale, al politico fino all’econonomico al mettere al centro dell’azione politica al cittadino, è una nuova forma di iniziare a pensare ed immagginare una nuova società. Questo chiaramente è l’inizio, a partir da ciò credo sia fondamentale, pensare, riflettere e dibattere verso dove ci stiamo dirigendo come società e quali potrebbero essere gli strumenti e le strategie che man mano potremmo utilizzare, non dimenticando che viviamo in una società complessa ed in continuo cambiamento.

Grazie mille e buona serata. Spero solo che possiamo da quello che ho appena detto fare un bel dibattito e riflessione comune.
Giuseppe Lo Brutto

Giuseppe Lo Brutto

Director del Instituto de Ciencias Sociales y Humanidades 'Alfonso Vélez Pliego' de la Benemérita Universidad Autónoma de Puebla y profesor-investigador del Posgrado en Sociología del mismo instituto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *